Il posto delle fragole

in direzione ostinata e contraria

J. Edgar

La storia di J. Edgar Hoover, per quasi 50 anni capo incontrastato dell’FBI e capace di resistere a 8 presidenti USA, raccontata con stile impeccabile da Clint Eastwood. Il film è giocato su diversi piani temporali – è J. Edgar ormai anziano a raccontare la sua versione della storia mentre detta la propria biografia, confrontato con lui stesso giovane funzionario in rapida ascesa e con l’ormai affermato e potentissimo capo indiscusso del Bureau – sempre gestiti in maniera lineare e limpida. Nel film passa la storia americana – la lotta al comunismo e agli anarchici, ai neri e al terrorismo – ma anche la cronaca – la caccia all’assassino del piccolo Lindbergh che segna la definiva consacrazione di Hoover – e l’arresto di tanti criminali piccoli e grandi. L’integerrima figura pubblica, in possesso di dossier compromettenti e riservatissimi che però moriranno con lui – messa a confronto con la vita privata repressa e quasi annullata in favore del potere assoluto e del successo. Tre le figura fondamentali che emergono: la segretaria personale Helen (Naomi Watts) fedele fino alla fine, la madre (Judi Dench), figura possessiva e decisiva nella sua formazione e l’amico e collaboratore più fidato (Clyde Tolson interpreatato da Armie Hammer) che delineano, probabilmente con alcune libere interpretazioni, il contorno intimo di una vita comunque fuori dal comune, accennando più volte ma con grande delicatezza alle presunte inclinazioni omosessuali e al rapporto discusso con Tolson. Esteticamente e registicamente di livello elevatissimo, con attori formidabili – Leo Di Caprio su tutti, magistrale nel rendere tutte le ambiguità del personaggio – eppure il film lascia la sensazione che qualcosa manchi. In ogni caso un grande film da vedere per discutere sul confonto tra virtù pubbliche e vizi privati e sulle tante ipocrisie tipicamente ma non esclusivamente americane.

Piero

gennaio 12, 2012 Posted by | Cinema | , , , , | 1 commento

Hereafter

Clint Eastwood aggiunge l’ennesima perla al suo percorso di regista cimentandosi con un tema forte e in genere rimosso, quello della morte o, più precisamente, quello dell’aldilà. Lo fa attraverso una sceneggiatura solida, quella di Peter Morgan (Frost/Nixon, forse tra i migliori film degli ultimi anni), imperniata su tre storie distinte che solo nel finale troveranno un punto di convergenza. Marie è una giornalista all’apice della carriera che, durante lo tsunami asiatico attraverserà un’esperienza tra la vita e la morte, Marcus è un bambino che ha perso il fratello gemello in un incidente, George (Matt Damon) un giovane operaio in grado di entrare in contatto con i morti ma che non riesce a convivere con quella che per lui è solo una maledizione. Eastwood è uno dei pochi registi contemporanei, se non l’unico, di cui si possa dire tranquillamente che ogni nuovo film girato è già un classico. Vale anche per questo lavoro che è solido, lineare pur affrontando, tra gli altri, un tema scivoloso come quello del paranormale. E’ un film che pone molte domande senza la pretesa di indicare le risposte e che in fondo è soprattutto un’ode alla vita, come sembra far capire il gemellino a Marcus: ti sorveglio ma puoi, e devi, cavartela da solo.

Piero

gennaio 8, 2011 Posted by | Cinema | , , | Lascia un commento

Invictus

La prima scena è una pennellata splendida: i ragazzi bianchi perfettamente organizzati che giocano a rugby nelle loro impeccabili divise da una parte, i neri scalcagnati che tirano calci ad un vecchio pallone dall’altra. A dividerli apparentemente solo la strada, in realtà anni di apartheid, di odio e violenza. Il Presidente del Sudafrica Nelson Mandela appena eletto capisce che la strada della riconciliazione passa proprio dal rugby, il mondiale del 1995 giocato in casa come occasione unica e irripetibile di riconciliazione nazionale. E’ un calcolo umano oltre che politico in cui coinvolge – prima scettico, poi sempre più convinto – il capitano degli Springboks Francois Pienaar (Matt Damon, molto bravo nel suo ruolo) che riuscirà a trascinare la squadra, simbolo di un paese finalmente unito, fino alla vittoria finale.
Di Clint Eastwood c’è soprattutto la maestria nel dirigere un grande film evitando di sfociare nella retorica, narrando la storia unica e irripetibile di Mandela – del suo coraggio e della capacità di perdonare ma anche della spregiudicatezza e della lungimiranza politica – ma anche la parabola sportiva di una squadra che vince contro ogni pronostico trascinata dalle motivazioni più ancora che dalla tecnica. E’ un film però soprattutto di Morgan Freeman che lo ha voluto fortemente, lo ha prodotto e che interpreta, anzi è, Nelson Mandela. Ne traccia magistralmente ogni sfumatura, il calcolo e la strategia politica, la solitudine e le debolezze proprie di ogni uomo. Un film forse imperfetto ma comunque molto emozionante.

Piero

marzo 9, 2010 Posted by | Cinema | , , , , | Lascia un commento

Gran Torino

Vedi alla voce: Capolavoro. Clint Eastwood dirige e interpreta quello che può tranquillamente definirsi il suo testamento cinematografico oltre che umano. E’ un’opera di valore assoluto, la summa dei temi a lui più cari: la vita e la morte, il complesso e tortuoso rapporto con la religione già ampiamente esplorato in Million Dollar Baby, ma anche il razzismo, la nostalgia di un passato che non c’è più e l’angoscia di fronte a un mondo così diverso da come lo si vorrebbe.

Walt Kowalski è un reduce della guerra di Corea, vive a Detroit – custodendo gelosamente in garage la sua preziosa Ford Gran Torino del 1972 -, in un quartiere densamente popolato da emigrati verso i quali nutre diffidenza e un profondo sentimento razzista. Gli eventi però lo porteranno a divenire una sorta di eroe del quartiere per aver difeso Thao, l’adolescente asiatico vicino di casa, da una banda di teppisti, e a rivedere radicalmente i suoi atteggiamenti in un percorso di formazione che è da un lato l’iniziazione all’età adulta – lavoro, amore, in una parola: vita – del giovane e, dall’altro, la presa di coscienza di quanto in realtà abbia in comune con i “musi gialli” della porta accanto – certo molto di più che con i debosciati della sua famiglia americana tipicamente middle class.

Opera classica nel senso migliore del termine, regia impeccabile, estremamente lineare, quasi didascalica, nella descrizione iniziale dei personaggi, che sa introdurre con frequenza momenti comici ottimi, conciliandoli perfettamente con il registro tragico del racconto. Eastwood è magistrale anche come attore – nella smorfia alla vista del piercing della nipote c’è un condensato di sensazioni inesprimibili a parole – e disegna un personaggio splendido, complesso, che sa molto della morte e molto poco della vita, diffidente, chiuso in se stesso eppure capace di aprirsi a degli sconosciuti, un eroe tragico in grado di fare, al momento opportuno, la scelta giusta. E’ anche un film sulla vecchiaia e la sua accettazione, sulla morte, che aleggia continuamente – del resto la storia si apre e si chiude con un funerale -, sul razzismo e più in generale sui pregiudizi, sul coraggio di cambiare se stessi nel profondo, sulla capacità di amare.

Il finale, sorpendente e a suo modo epico, è il sigillo di un grandissimo autore ad un’opera struggente: Kowalski – Eastwood si immola come un Cristo senza croce per la salvezza delle sole persone che ama veramente. Chapeau.

 

Piero

marzo 20, 2009 Posted by | Cinema | , , | Lascia un commento