Alza la Testa
Veramente sorprendente l’opera seconda di Alessandro Angelini, un film dal soggetto che vagamente ricorda il capolavoro (uno dei tanti) di Clint Eastwood Million Dollar Baby – la voglia di riscatto attraverso la boxe, ma anche i rapporti umani e il confronto con la morte che spezza una vita nel pieno del suo fulgore -, con Antonio Mero (Sergio Castellitto, premiato al Festival del cinema di Roma con il Marc’Antonio come miglior attore) splendido nel ruolo di padre allenatore che forgia giorno per giorno il figlio Lorenzo, avuto da una relazione con una donna albanese, crescendolo sul piano umano e su quello sportivo, fino all’evento drammatico che stravolge tutto. Nella prima parte c’è la vita di periferia – il film è ambientato a Fiumicino dove Antonio lavora in un’impresa di costruzioni navali – descritta con bel realismo, gli amici, la palestra arrangiata, l’integrazione razziale non sempre facile, ma è nella seconda parte la vera sorpresa. Quando il protagonista si trova, da solo, a dover affrontare delle scelte drammatiche tra la donazione di organi, l’elaborazione del lutto, la difficoltà di accettare che la vita di suo figlio possa proseguire nel corpo di uno sconosciuto. E’ commovente soprattutto il graduale passaggio dal totale rifiuto dell’altro, all’accettazione forzosa, fino alla piena condivisione, proprio come fosse un vero figlio, cui insegnare con coraggio ad alzare la testa, per l’appunto. Bravo l’esordiente Gabriele Campanelli e il solito Giorgio Colangeli, l’amico più intimo del protagonista. Finale a suo modo poetico e scanzonato, bello.
Piero
Veramente sorprendente l’opera seconda di Alessandro Angelini, un film dal soggetto che vagamente ricorda il capolavoro (uno dei tanti) di Clint Eastwood Million Dollar Baby – la voglia di riscatto attraverso la boxe, ma anche i rapporti umani e il confronto con la morte che spezza una vita nel pieno del suo fulgore -, con Antonio Mero (Sergio Castellitto, premiato al Festival del cinema di Roma con il Marc’Antonio come miglior attore) splendido nel ruolo di padre allenatore che forgia giorno per giorno il figlio Lorenzo, avuto da una relazione con una donna albanese, crescendolo sul piano umano e su quello sportivo, fino all’evento drammatico che stravolge tutto. Nella prima parte c’è la vita di periferia – il film è ambientato a Fiumicino dove Antonio lavora in un’impresa di costruzioni navali – descritta con bel realismo, gli amici, la palestra arrangiata, l’integrazione razziale non sempre facile, ma è nella seconda parte la vera sorpresa. Quando il protagonista si trova, da solo, a dover affrontare delle scelte drammatiche tra la donazione di organi, l’elaborazione del lutto, la difficoltà di accettare che la vita di suo figlio possa proseguire nel corpo di uno sconosciuto. E’ commovente soprattutto il graduale passaggio dal totale rifiuto dell’altro, all’accettazione forzosa, fino alla piena condivisione, proprio come fosse un vero figlio, cui insegnare con coraggio ad alzare la testa, per l’appunto. Bravo l’esordiente Gabriele Campanelli e il solito Giorgio Colangeli, l’amico più intimo del protagonista. Finale a suo modo poetico e scanzonato, bello.
Piero
Tris di Donne e Abiti Nuziali
Bel film gradevole, di certo non originalissimo nello spunto di partenza, e sorretto dal solito Castellitto (l’erede di Marcello Mastroianni, questa l’avete già sentita), formidabile nel passare attraverso ruoli anche completamente antipodici pur rimanendo se stesso. La storia è quella di un impiegato delle Poste in pensione, con il vizio del gioco – poker, corse dei cavalli, Lotto, non fa differenza – padre e marito a suo modo affettuoso ma di certo non esemplare. Il matrimonio della figlia farà drammaticamente emergere tutti i problemi a stento nascosti fino a quel momento. Film malinconico sul gioco come metafora del voler rimanere se stessi – giocatori, appunto, e non professionisti – con finale un po’ triste ma in fondo speranzoso.
Piero
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