Il posto delle fragole

in direzione ostinata e contraria

Il capitale umano

Il film, tratto da un romanzo di Stephen Amidon, traspone la scena nella Brianza opulenta dei nostri tempi, in un noir (sia detto solo per amore di catalogazione), che in realtà va ben oltre e al di là del film di genere. Colpisce doppiamente: nell’immediato perché la storia è avvincente; subito dopo, ad una riflessione più ampia, per il carattere di parabola ben poco edificante del nostro paese (o anche oltre?) e della sua deriva sociale e culturale (a proposito, chiunque avesse voluto vedervi critiche ad un fantomatico Nord padano, era completamente in errore poiché il bersaglio è ben più ampio). Girato magistralmente ad intensità crescente, guardando la storia con i punti di vista di tre dei personaggi principali – mai come in questo caso è giusto parlare dei film corale –, si parla delle vicende di due famiglie, quella dei ricchissimi Bernaschi (Fabrizio Gifuni e Valeria Bruni Tedeschi) e quella di Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), un immobiliarista che vuole arricchirsi e fare il grande salto. Ad unirli convenienze più o meno futili ed il legame tra Serena, figlia di Ossola, e Massimiliano Bernaschi. Nel mezzo un incidente in cui un suv butta fuori strada e uccide un cameriere e le cui dinamiche vanno chiarendosi nel corso del film. I personaggi sono ben delineati e incisivi, tutti in qualche modo colpevoli e non pienamente limpidi, paradossalmente è proprio Giovanni Bernaschi, arrogante fin da subito, a risultare il più lineare, coerente con le sue smisurate ambizioni. C’è molto di italiano nel voltarsi dall’altra parte per convenienza, perché non ci riguarda, perché la famiglia prima di tutto. Ma anche nello scandalizzarsi pubblicamente salvo preoccuparsi del proprio orticello, nell’arrivismo più esasperato dove contano i soldi che portano potere che conduce ai soldi, in un circolo perverso e inestricabile. Come sono nostre le miserie umane e culturali, piccole e grandi, che il film traccia anche con i personaggi minori.
Un barlume fioco di speranza viene riposto, in un finale comunque amaro, nella giovane coppia che resiste e prova a guardare oltre. Film bellissimo e importante.
Piero

gennaio 20, 2014 Posted by | Cinema | , , , | Lascia un commento

Tutti i santi giorni

Guido e Antonia sono due persone che è difficile immaginare più diverse, eppure si conoscono (come lo si capisce solo alla fine) e si trovano meravigliosamente bene. Lui studi classici, esperto di protomartiri cristiani, rinuncia ad una brillante carriera universitaria e lavora come portiere di notte, lei, cantautrice alla ricerca del successo, che si barcamena a fatica esibendosi in piccoli localini e dalla vita totalmente sconclusionata. Tutto va benissimo finché il desiderio di un figlio diventa un’ossessione, soprattutto per lei. Virzì devia almeno in parte dalla satira sociale più graffiante che gli è propria, virando su un maggiore sentimentalismo e raccontando una storia, magari un po’ improbabile, ma bella anche per questo. Un film solo apparentemente leggero, anche perché, neanche troppo sullo sfondo, c’è una Roma (e per estensione un’Italia) tristemente cafona (che all’inizio fa ridere ma poi fa piangere), manesca e in fondo molto triste. Luca Marinelli e Federica Victoria Caiozzo (sue anche le canzoni) sono i protagonisti, bravissimi, in un film che passa leggero dalla risata alla commozione e che sembra un po’ l’elogio della cultura classica. Bello.

Piero

ottobre 15, 2012 Posted by | Cinema | , , | Lascia un commento

La Prima cosa bella

La tranquilla vita di provincia della famiglia Michelucci da Livorno viene stravolta quando Anna, la madre, viene eletta Miss bagni Pancaldi. L’anno è il 1971 e da lì comincia un racconto denso fatto di gioie, dolori, dissapori, litigi, ferite aperte e riconciliazioni destinato a chiudersi soltanto ai giorni nostri con un finale sorprendente. Dopo quell’episodio, infatti, Anna verrà cacciata di casa portando con sé i due figli – Bruno (Valerio Mastandrea, il più grande, tormentato, contrastato e infelice) e Valeria (Claudia Pandolfi, che continua ad assistere la madre conducendo una vita apparentemente serena, covando però un malessere interiore) –, vivendo tra velleitarie ambizioni cinematografiche, mezze figure arricchite che approfittano della sua ingenuità e tanti lavoretti per tirare avanti, sempre con dignità e un bel sorriso sulle labbra, sempre e comunque innamorata di un solo uomo: il marito. Virzì elabora un grande film, veramente e pienamente corale, dove tutti i personaggi, anche quelli apparentemente minori, non sono banali ma anzi accuratamente tratteggiati (merito anche di un cast di altissimo livello anche nelle piccole caratterizzazioni) inserendosi nel miglior solco della commedia all’italiana, dove si ride molto, si riflette e ci si commuove. Il personaggio di Anna Biagiotti in Michelucci è probabilmente destinato a restare a lungo nella mente, splendido nella sua vitalità che è la bellezza giovane e dirompente di Micaela Ramazzotti ma anche e soprattutto la gioia e la voglia di vivere di Stefania Sandrelli (Anna negli ultimi anni di vita), malata terminale con il desiderio irrefrenabile di ballare, scarrozzare in motorino per la sua città, mangiare zucchero filato. Il finale, commovente, è un inno alla vita, una riconciliazione tardiva ma sincera con le persone amate.

“A me ha rovinato la vita, a lei anche, se magari vieni a conoscerla la rovina anche a te… non si sa mai!”

Piero

gennaio 25, 2010 Posted by | Cinema | , , , , , | Lascia un commento